Il XX secolo è stato caratterizzato da tre dittature: la comunista in Russia, la fascista in Italia e la nazista in Germania. Esse conquistarono il potere rispettivamente nel 1917, nel 1922 e nel 1933. Il fatto che quella comunista abbia preceduto le altre due, ha fatto considerare da parte di alcuni storici l’affermazione del fascismo e del nazionalsocialismo come una conseguenza della vittoria del comunismo in Russia. In realtà le tre dittature nacquero per cause legate alla storia della Russia, dell’Italia e della Germania. La definizione di totalitarismo, che viene spesso considerata comprensiva di tutte e tre le dittature, si riferisce soltanto agli aspetti comuni, come la mancanza di libertà e la persecuzione degli oppositori. Sul piano economico invece esse differirono profondamente: in Russia fu realizzato il comunismo, in Italia e in Germania rimase il capitalismo. Tutte e tre aspirarono a far nascere regimi totalitari, fondati sull’Uomo Nuovo, ma non riuscirono a raggiungere questo obiettivo.
Il quadro storico: l'immediato
dopoguerra in Italia
La crisi economica e il malessere generale
L'Italia uscì stremata dalla grande guerra, con oltre mezzo milione di morti in battaglia. L'industria doveva
essere convertita alla produzione di pace. L'aumento dei salari e degli
stipendi era inferiore all'aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. Le
risorse dello Stato erano
insufficienti sia per promuovere la realizzazione di opere pubbliche volte ad
assorbire la disoccupazione, che per garantire un minimo di assistenza ai
mutilati, alle vedove e agli orfani. La
grande borghesia era preoccupata per la
crescita della forza politica e sindacale del movimento operaio. I proprietari terrieri
erano allarmati per le rivendicazioni dei braccianti, sostenute soprattutto dai
socialisti. I
ceti medi erano delusi per i risultati
della vittoria e amareggiati per il declino del loro prestigio sociale. La classe operaia,
animata dall'entusiasmo per le conquiste della rivoluzione russa, reclamava
maggiore potere nelle fabbriche e manifestava tendenze rivoluzionarie. I contadini infine,
tornati dal fronte, chiedevano l'assegnazione delle terre demaniali e dei
latifondi incolti. I governi si dimostrarono deboli e del tutto incapaci di gestire la
difficile situazione che si venne creando tra il 1919 e il 1922.
Clima
autoritario, violenze urbane e rurali
In breve tempo nel Paese si determinò una situazione
di grande instabilità, caratterizzata da spinte autoritarie e antidemocratiche.
Questa tendenza riguardò tutti i settori della società, a cominciare dallo
Stato, i cui organi fondamentali (burocrazia, esercito, polizia, magistratura),
abituati durante la guerra a esercitare un ruolo di effettiva autonomia nei
confronti del Parlamento, erano poco disponibili a risolvere i problemi delle
classi popolari, che chiedevano a loro volta una partecipazione attiva alla
vita democratica del Paese. D’altra parte fra le masse la crisi d’identità
sociale tendeva a manifestarsi in uno sfogo di nazionalismo irrazionalistico
oppure nella tendenza a risolvere con l’azione diretta tutte le difficoltà. In
tale contesto ebbe inizio una stagione di proteste e di scioperi:
gruppi sempre più numerosi di persone davano luogo a uno stato di agitazione
permanente contro il carovita, che spingeva molti addirittura al saccheggio e
alla distruzione delle merci nelle città. Anche nelle campagne, soprattutto nel
Meridione, la situazione diventava sempre più esplosiva, e ben presto le
proteste dei contadini per la mancata riforma agraria culminarono
nell’occupazione delle terre padronali.
Mussolini crea i fasci di combattimento Dello stato di confusione della politica italiana seppe
abilmente approfittare Benito Mussolini (1883-1945). Dopo
essere stato espulso dal Partito socialista nel 1914 per le sue posizioni
interventiste, una volta rientrato dal fronte si era messo a difendere dalle
colonne del suo giornale, Il Popolo d’Italia, i risultati della guerra
vittoriosa contro l’arrendevolezza e l’incomprensione della classe dirigente e
a farsi sostenitore dell’ordine interno contro i disordini che agitavano il
Paese. Dotato di una non comune capacità oratoria, era riuscito a raccogliere
intorno a sé alcuni simpatizzanti fra i nazionalisti, gli ex combattenti e
soprattutto i giovani della media borghesia, con l’appoggio dei quali aveva
fondato i Fasci di combattimento (marzo 1919).
Il programma di San Sepolcro
Il programma del nuovo movimento (detto di San
Sepolcro, in quanto approvato a Milano in un vecchio stabile
affacciato su una piazza dallo stesso nome) prevedeva l’instaurazione della
repubblica con ampie autonomia regionali e comunali, il suffragio universale
esteso anche alle donne, l’istituzione del referendum popolare, l’abolizione
del Senato in quanto di nomina regia, l’eliminazione dei titoli nobiliari,
della polizia politica e della coscrizione obbligatoria. Prevedeva inoltre il
pagamento dei debiti dello Stato da parte delle classi più abbienti, la lotta
alle speculazioni borsistiche e bancarie, la terra ai contadini, la
partecipazione dei lavoratori agli utili delle aziende, la concessione di
industrie e servizi pubblici a organizzazioni operaie, a riduzione dell’orario
di lavoro.
Come è facile rilevare,
il programma di San Sepolcro raccoglieva un insieme di posizioni generiche ed
eterogenee: d’altra parte, lo stesso Mussolini tendeva a considerare i fasci
come un movimento politico duttile ed elastico che come un partito con una sua
precisa ideologia. Noi fascisti – affermava allora – ci
permettiamo il lusso di essere aristocratici e democratici, conservatori e
progressisti, reazionari e rivoluzionari, a seconda delle circostanze di tempo,
di luogo e di ambiente. I fascisti non hanno dottrine prestabilite: la
loro unica tattica è l’azione.
Man mano che la crisi
italiana si aggravava, culminando nell'occupazione delle fabbriche, i Fasci
vennero accentuando la loro carica terrorista (lo squadrismo)
ed antioperaia. Per questa via, il movimento ottenne crescenti adesioni e
favori da agrari e industriali, ma soprattutto andò raccogliendo l'adesione di
ampie fasce del ceto medio, preoccupato tanto dall'avanzata del movimento
operaio quanto dalla concorrenza del grande capitale.
Grazie al sostegno
elettorale di nazionalisti e liberali (Blocco Nazionale), nel 1921 Mussolini ed
altri 35 suoi camerati fecero il loro ingresso in Parlamento. Nel contempo si
saldava l'alleanza con la borghesia e con l'establishement monarchico e
militare. Un approdo sancito dalla fondazione a Roma, nel novembre del 1921,
del Partito Nazionale Fascista. Fallito nel luglio dell'anno seguente l'ultimo
tentativo del movimento popolare per salvare la democrazia con uno sciopero
nazionale, la via era ormai aperta alla presa del potere. Tra improvvisazioni e
connivenze istituzionali, approfittando del vuoto di potere, i fascisti
organizzarono la cosiddetta marcia su Roma (31 ottobre 1922),
che si concluse con l'attribuzione a Mussolini della carica di presidente del
Consiglio da parte di Vittorio Emanuele III e la nascita di un governo di
coalizione composto da fascisti, democratici, liberali e cattolici.
E le intenzioni furono
subito chiare!
Ottenuto
l'incarico di formare un governo dopo la "marcia su Roma", Mussolini
costituì un gabinetto di larga coalizione che lasciò sperare a molti
nell'avvento dell'attesa "normalizzazione".
Consolidato
ulteriormente il potere dopo le elezioni del 1924, Mussolini fu messo per un
momento in grave difficoltà dall'assassinio del deputato socialista Giacomo
Matteotti. Il discorso del 3 gennaio 1925 con cui egli rivendicò spavaldamente
a sé ogni responsabilità politica e morale dell'accaduto, segnò però la sua
controffensiva e la pratica liquidazione del vecchio Stato liberale.
ATTIVITA'
Rispondi alle domande (max 5 righi per ciascuna risposta):
1) Perché Il re, davanti alle camice nere, si rifiuta di firmare la proclamazione dello stato d’assedio?
2) Quando, perché e con quali funzioni nasce il Gran Consiglio del Fascismo?
3) Si è spesso usato il termine di “totalitarismo imperfetto” per descrivere il regime fascista, perché?
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Prof.ssa Angelica Piscitello