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domenica 27 ottobre 2013

L'ETA' DEL BAROCCO E DELLA SCIENZA NUOVA

 
 
 
L'epoca che si estende dalla fine del Cinquecento ai primi decenni del Settecento è ormai universalmente indicata come "Età del Barocco".
 
 Alcuni studiosi, specialmente francesi e tedeschi, fanno derivare la parola "barocco" dal portoghese barroco il quale, come lo spagnolo barueco e il francese baroque, indica una perla irregolare, non perfettamente sferica; altri, invece, tra cui gli italiani, lo considerano derivazione del termine filosofico baroco usato nella filosofia scolastica per indicare un tipo di sillogismo (=tipo di ragionamento) complicato nella forma e di modesto contenuto.
 Comunque, qualunque sia la derivazione, con questo termine si è voluto generalmente indicare gli aspetti bizzarri e irregolari, poco originali e poco "perfetti" dell'arte del Seicento, contrapposta a quella lineare e razionale del Rinascimento. Il vocabolo, prima usato soltanto per le arti figurative, più tardi è diventato sinonimo di tutta la civiltà che dal secolo Cinquecento arriva al Settecento e ha perso in buona parte il primitivo significato polemico e spregiativo.
 L' Età del Barocco, epoca di profonde contraddizioni e di disagio sociale, vide decadere in campo artistico, letterario e musicale il razionale equilibrio che aveva dominato nell'epoca rinascimentale. Il Rinascimento aveva significato risveglio creativo dopo la meditata riflessione sul passato e quindi aveva segnato un periodo di reale presa di coscienza, da parte dell'uomo, del suo valore e della sua ascesa verso conquiste che sembravano non avere limiti e verso un grado di conoscenza tanto ampia da far pensare alla "perfezione".
 Nell'Età barocca si assiste al processo inverso: si affievoliscono le certezze, si incrina la fiducia dell'uomo, sgomento perché non sa andare oltre la "perfezione" già acquisita e le nuove conquiste scientifiche non fanno che riportarlo alla consapevolezza dei suoi limiti; subentra in lui lo smarrimento di fronte al cadere anche della sicurezza religiosa con l'infrangersi della compattezza cristiana dopo l'avvento della Riforma, perciò prevale un'atmosfera di crisi e di irrequieta ricerca.
 Dal punto di vista storico ci sono alcuni fattori che accentuano il disagio dell'Età barocca:
 1. la ripresa delle guerre di religione che celano fini politici;
 2. il ferreo assolutismo statale che si afferma in quasi tutte le monarchie europee;
 3. il non meno ferreo assolutismo religioso, cattolico e protestante, conseguenza della Riforma;
 4. l'apoteosi e successiva decadenza della Spagna;
 5. la stagnazione economica e l'espansione del latifondo agrario in Spagna e Italia del Sud.

La crisi che contraddistingue questo periodo non va però intesa come decadenza, ma come tensione verso una nuova idea del mondo, come preparazione di una nuova civiltà: ne sono testimonianza gli aspetti più innovativi in ambito filosofico, scientifico, storiografico, anticipatori della civiltà e della cultura moderne. E' un'età di preparazione, di forti cambiamenti in cui si intravedono caratteri che si chiariranno nei secoli seguenti: il "gusto", l' "ingegno", l' "individualità artistica", la "lingua impreziosita" di vocaboli e artifici retorici, impressioni e temi nuovi.
 Anche nel '600 come, del resto nel '500, gli intellettuali dipendono dalle corti e dalla Chiesa. Tuttavia vi sono delle differenze: nella prima fase del Rinascimento l'intellettuale era colui che vivendo e lavorando presso le corti terrorizzava l' ideale di una cultura intesa come intelligenza critica; mentre nell'ultimo periodo del '500 e del '600 l'intellettuale svolge azioni diplomatiche ed amministrative ma, in qualche modo, è "inferiore" rispetto al suo signore. Gli intellettuali che operano intorno alle corti scrivono opere essenzialmente aristocratiche e cercano di rispecchiare nei loro scritti il lusso tipico delle corti e le forme ricercate.
 Il '600 è il secolo in cui si afferma il nuovo pensiero e la nuova scienza. Uno dei maggiori rappresentanti è Giordano Bruno il quale accetta la teoria eliocentrica, secondo la quale al centro dell'universo sta immobile il sole e tutti gli altri pianeti gli ruotano intorno.
Anche Galileo Galilei fu contrario ad ogni dogmatismo nel campo delle scienze e fu un deciso avversario dell'aristotelismo allora imperante (secondo il quale Aristotele avrebbe detto ogni possibile verità nel campo delle scienze). La Chiesa cattolica, d’altra parte, accettava il  pregiudizio che tutto quanto fosse affermato nei testi sacri ad opera dei profeti non potesse che essere vero e, applicando questo criterio, affermava che il Sole girasse intorno alla Terra, mentre Galilei, che aveva la certezza che fosse la terra a girare intorno al Sole, non poteva accettare quell'assurda posizione. Perciò venne in contrasto con la Chiesa e fu anche ammonito dal Tribunale di inquisizione di ritirare le sue tesi: egli accettò formalmente l'ingiunzione per salvarsi dal rogo e fu per questo condannato solo agli "arresti domiciliari" (come si direbbe oggi), conservando la possibilità di proseguire i suoi studi.
La nuova scienza viene esposta in volgare non in latino, perché Galilei e altri avevano bisogno dell'appoggio della borghesia e della collaborazione dei tecnici della nazione. Anche all'estero si cominciano a scrivere testi filosofici e scientifici in volgare.
Sulla stessa linea la sua prosa si avvicina più al modello classico del Cinquecento che a quello del Seicento barocco: allo scienziato occorreva infatti una espressione limpida e netta, che non consentisse alcun dubbio di interpretazione. Ciò non toglie, però, che, quando doveva esprimere il suo entusiasmo e il suo stupore di fronte alla scoperta di un nuovo segreto della Natura, di una nuova bellezza, egli ricorresse ad uno stile più scintillante, più colorito, più emozionante, di tipo barocco.
La sua prosa diede origine alla cosiddetta "prosa scientifica".
Gli intellettuali del ‘600 tendono a considerarsi superiori agli antichi scrittori greci e latini, per cui rifiutano il culto dell'autorità dei modelli classici (come invece nel '400-'500), e tuttavia questa rivendicazione di libertà-autonomia spesso si traduce in una mera preoccupazione a stupire e meravigliare il pubblico (concezione edonistica dell'arte, Marinismo).
Questa ricerca forzata della novità nelle forme esteriori ed estetiche viene chiamata Marinismo (dal nome del poeta Giambattista Marino, napoletano), per il quale fine della poesia è la meraviglia delle cose eccellenti. Le sue poesie (come tutte le liriche del '600) non inventano nulla di nuovo, ma si limitano a utilizzare in maniera stravagante (combinando motivi e immagini fino all'assurdo) i moduli stilistici e le situazioni della tradizione poetica che va dal Petrarca al Tasso. Poema principale del Marino: ADONE (mitologico in 5.000 ottave. Il pastore Adone, eletto re di Cipro, ottiene l'amore di Venere, ma la gelosia di Marte lo fa uccidere da un cinghiale in una battuta di caccia).
 
La lirica barocca s'infittisce di oggetti, animali, piante, che sono guardati analiticamente come a un microscopio, di fenomeni meccanici derivanti dalle nuove scoperte, del movimento delle forme in cui si riflette l'impressione suscitata dalla scoperta copernicana: giochi mirabolanti di acque, di cascate, di ordigni meccanici, di ruote dentate di orologi variano la tematica lirica con i più strani accostamenti.

Marinisti e antimarinisti polemizzarono per tutto il secolo. Vi furono poeti resistenti al barocco, gesuiti che si servirono del barocco tentando di moralizzarlo come alternativa al naturalismo o che tentarono di conciliare l'eredità classica con la nuova moda, barocchi penitenti che finirono nell'Arcadia.
 
 Molti teorici del Seicento intendevano la poesia come diletto e gioco di parole e di metafore, staccata da ogni rapporto con la realtà. In tal modo gli studiosi si chiudevano in un mondo raffinato ed aristocratico e tendevano ad avvicinare la poesia alla rettorica, riferendosi alla moda del marinismo, o amore della metafora; e del concettismo, o ricerca dell'acutezza. 
 
I marinisti proclamano che è del poeta il fin la meraviglia, i concettisti ritengono che l'arte consista nell'acutezza cioè nel modo arguto di esprimersi. Intorno a questi motivi i critici del Seicento hanno intessuto intricate discussioni.

Emanuele Tesauro (1592-1675) nel Cannocchiale aristotelico (1654) loda l'argutezza, «gran madre d'ogni ingegnoso concetto, chiarissimo lume dell'oratoria e poetica elocuzione, spirito vitale delle morte pagine»; Daniello Bartoli (1608-1685) ai virtuosismi e alle argutezze contrappone una più importante presenza dei contenuti; Matteo Peregrini (c. 1595 - 1652) depreca l'esagerazione delle acutezze che introducono «un'idea di comporre fecciosa e disguisata».

La contrapposizione tra passato e presente è risolta dalla lirica barocca con l'offerta della novità dei temi e delle forme, con la bizzarria e il meraviglioso. I classicisti, invece, restano collegati con le forme della tradizione e accettano il rinnovamento dei contenuti.
In ambedue i casi, però, il rifiuto delle regole avviene sul piano retorico e non su quello del rapporto con la società poiché gli intellettuali, mancando una autonoma classe borghese, dipendono dai gruppi aristocratici per i quali l'arte è diletto e trattenimento.

 

ATTIVITA'
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Prof.ssa Angelica Piscitello