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venerdì 22 maggio 2015

CARLO LEVI

Troppo affrettatamente la critica mise in rilievo aspetti decadenti di Levi di Cristo si è fermato ad Eboli (scritto nel 1943, edito nel 1945) nato dall'esigenza del mondo lucano durante il soggiorno al confino. Levi aveva cultura europea e la sua storia interiore era quella dell'intellettuale democratico che crede nell'alleanza con la base popolare e vede il taglio compiuto dal fascismo. Civiltà, storia come progresso, valore intellettuale cadono, in conseguenza, per Levi il quale al rapporto razionale col mondo sostituisce il rapporto magico-misterioso con le cose:
  1. Non esiste distinzione fra l'uomo e l'animale, fra l'uomo e la pianta; e il sole, la pioggia, la foresta, la generazione e la morte, il mondo intero che ci circonda sono tutt'uno con la persona che vive come un albero, si radica al suolo, fiorisce, dà frutto e, a suo tempo, avvizzisce.
Ma alla luce dell'impegno sociale, dell'antifascismo, del meridionalismo, degli interessi europei esistenzialisti e psicanalitici di Levi l'approdo al mondo magico contadino vuole essere non una regressione bensì un modo di allargare l'esperienza nella cultura contadina mitica e misterica per cogliere, più profondamente che con la sola storia razionale, l'umanità segreta e confusa nella storia della condizione contadina.
Non si tratta, perciò, di fuga nell'indistinto ma di una purificazione nei valori autonomi, di una liberazione dalla decadenza borghese. La funzione catartica della civiltà contadina e la necessità di conservare le strutture non sono senza ambiguità dal punto di vista storico e culturale, ma quei valori contadini per Levi sono anche valori di contestazione («gli usi antichi e le loro credenze ereditate, estranei e ostili allo Stato e alla storia...»); e Levi dalla rappresentazione di quel mondo come fonte di palingenesi è venuto passando al convincimento del processo di emancipazione sostenuto dalle lotte contro le millenarie soggezioni.

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Prof.ssa Angelica Piscitello