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domenica 22 febbraio 2015

GIOVANNI PASCOLI


Pascoli vive appieno la duplice crisi che caratterizza la cultura di fine Ottocento: quella della cultura positivistica e della incondizionata fiducia nella scienza e quella dell’intellettuale tradizionale che stenta a trovare un posto ed una funzione di fronte ai nuovi problemi posti dall’industrializzazione, dalla lotta di classe e dallo stesso mutato concetto di cultura.
La sua formazione intellettuale è scolastica e tradizionale, all’insegna del realismo classicistico carducciano, ma è anche contrassegnata da alcuni avvenimenti traumatici come l’assassinio, rimasto impunito, del padre o l’esperienza giovanile del carcere. Per questi motivi ad altri ancora, Pascoli assume un atteggiamento di sfiducia nei confronti del mondo e della vita: il suo universo è dominato dal mistero e dal dolore. Il mistero nasce dalla convinzione che il senso della vita costituisce per l’uomo un enigma cui né la religione, né la scienza, né la filosofia offrono una risposta, che possa fungere da orientamento, ritenuta dal poeta soddisfacente. Questo vuoto di senso genera quel disagio e quell’angoscia in cui l’essere umano sprofonda quando non trova spiegazione, ma soprattutto giudizio e risposta ad un dolore o ad un’offesa subiti da parte di un altro, lasciando così luogo al costituirsi di un trauma, cioè, propriamente, una fissazione del pensiero ad un avvenimento doloroso, fissazione che determina il persistere del dolore stesso.
Pascoli è un uomo che si sente solo in un universo di altri uomini che percepisce come genericamente ostili o minacciosi, tentazione e tendenza tipica di chi non sia riuscito ad elaborare un lutto o l’allontanarsi della persona amata o una grave delusione. Solo riparo contro questo male sempre incombente sono le pareti domestiche: la famiglia gli appare come la sola dimensione sociale in cui siano possibili l’amore, la solidarietà, la mutua assistenza in caso di bisogno.
La famiglia come rifugio del Pascoli non è però, si badi bene, quella in cui si diviene padri e madri e figli, ma quella in cui si è fratello e sorella, non la famiglia insomma che si può formare incontrando un altro ma sempre e solo quella, come si usa dire, d’origine (egli vivrà infatti con la sorella Maria la maggior parte della sua vita), dove vige la solidarietà fraterna. La sua esaltazione della famiglia corrisponde allora ad una sorta di moto regressivo segnato dalla nostalgia dell’età perduta dell’infanzia, che rappresenta agli occhi dell’adulto, innanzitutto un’età in cui non si è oppressi dalla domanda di senso di cui si è detto. Da qui scaturisce il cosiddetto triangolo NIDO-CASA-CULLA che sta al centro del mondo simbolico pascoliano.
 
Il pensiero.
La concezione dolorosa della vita deriva in Pascoli quindi da due fatti principali: la tragedia familiare e la crisi del Positivismo. La tragedia familiare è costituita da vari lutti che colpirono il poeta, infatti prima gli fu ucciso il padre, poi in rapida successione morirono la madre, la sorella maggiore, e i due fratelli Luigi e Giacomo. Questi lutti gli ispirarono il mito del “nido” familiare da ricostruire, del quale fanno parte i vivi e idealmente anche i morti, legati ai vivi dai fili di una misteriosa presenza. Secondo il poeta infatti, in una società sconvolta dalla violenza, la casa è il rifugio nel quale i dolori e le ansie si placano. Il pensiero del Pascoli fu poi anche influenzato dalla crisi del Positivismo, che si verificò verso la fine dell’Ottocento e fece crollare i suoi miti, quelli della scienza liberatrice e del progresso. Infatti il poeta riconosce l’impotenza della scienza nel risolvere i problemi umani e sociali, e inoltre la accusa anche di aver reso più infelice l’uomo, distruggendo in lui la fede in Dio, che era stata per secoli il suo conforto. Perduta la fede nella scienza il poeta fa adesso riferimento al mondo dell’ignoto e dell’infinito, arrivando alla conclusione che gli uomini sono creature fragili, soggette al dolore e alla morte.
 La poetica del fanciullino.
La poetica del Pascoli è legata al suo modo di vedere il mistero come una realtà che ci avvolge. Questo mistero però, sia la filosofia che la scienza non hanno saputo svelare, e secondo il Pascoli, solo il poeta tramite improvvise intuizioni può scoprire il segreto della vita universale. Il Pascoli tramite queste intuizioni, elabora una sua poetica tutta particolare che prende il nome di “poetica del fanciullino”. Questo fanciullino secondo il poeta è in tutti gli uomini, ma nella maggior parte di essi però, distratti dalle loro attività, il fanciullino tace; in altri invece, cioè nei poeti, il fanciullino fa sentire la sua voce di stupore davanti alla bellezza della natura. Il Pascoli distingue quindi la poesia pura dalla poesia applicata. La poesia pura è quella fatta di stupori, e l’oggetto di essa non è soltanto la natura, ma anche le armi, le guerre, i viaggi, tutte cose che stimolano la fantasia del fanciullino. La poesia applicata invece, è fatta di drammi e di grandi romanzi, come ad esempio l’Orlando Furioso .
 Decadentismo del Pascoli.
l Pascoli contrariamente al D’Annunzio, pervenne al Decadentismo per istinto, e non per influenze esterne. Egli in seguito alla crisi del Positivismo, elaborò una poetica che rientrava senza che lui stesso se ne accorgesse, nelle grandi correnti del suo tempo. Gli elementi del decadentismo pascoliano sono:
1) il senso smarrito del mistero e la sensibilità a percepire le voci provenienti dalle zone profonde dello spirito;
2) la poesia come strumento di conoscenza;
3) il simbolismo, cioè vedere le cose non nel loro aspetto reale, ma come simboli;
4) la fiacchezza di temperamento.

 ATTIVITA'
Perché Giovanni Pascoli viene detto "poeta delle piccole cose"?

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Prof.ssa Angelica Piscitello